


Il trasporto di rifiuti rappresenta un settore regolamentato con estrema precisione dalla normativa ambientale, con particolare riferimento all'articolo 256 del D.lgs 152/06. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 13310 del 30 marzo 2023) ha chiarito la distinzione tra le fattispecie di reato previste ai commi 1 e 4 dello stesso articolo, offrendo una chiave interpretativa rilevante per gli operatori del settore.
Il caso analizzato dalla Cassazione
La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un imprenditore che, pur essendo titolare di un'azienda regolarmente iscritta all'Albo nazionale gestori ambientali, aveva affidato il trasporto di rifiuti a un'impresa che aveva utilizzato un veicolo non autorizzato. Il giudice di merito aveva ritenuto configurabile il reato di gestione non autorizzata di rifiuti, ai sensi dell'art. 256, comma 1, del D.lgs 152/06. L'imputato, ricorrendo in Cassazione, ha contestato tale qualificazione, sostenendo che la sua condotta dovesse rientrare nel meno grave reato previsto dal comma 4, in quanto l'impresa incaricata era comunque autorizzata al trasporto dei rifiuti, sebbene con un veicolo non registrato.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, operando un'analisi approfondita della normativa in materia di iscrizione all'Albo gestori ambientali. Ha evidenziato che la normativa vigente (DM 120/2014) stabilisce con chiarezza che le imprese autorizzate al trasporto di rifiuti possono svolgere tale attività solo con i veicoli indicati nell'autorizzazione. Pertanto, l'uso di un mezzo non autorizzato configura una violazione delle condizioni imposte, ma non equivale a un'attività di gestione illecita priva di titolo abilitativo. Per questo motivo, la condotta deve essere sanzionata ai sensi dell'articolo 256, comma 4, del D.lgs 152/06, e non ai sensi del comma 1, riservato alle ipotesi di assenza totale di autorizzazione.
Le implicazioni della sentenza
Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato (sentenze n. 33420/2021, n. 47836/2019 e n. 13232/2010), secondo cui la distinzione tra il reato di gestione illecita di rifiuti e quello meno grave di violazione delle prescrizioni autorizzative deve basarsi sulla natura della violazione. Se il trasporto viene effettuato in assenza di un'autorizzazione generale, si ricade nel reato di cui al comma 1. Se, invece, l'impresa è autorizzata, ma non rispetta alcune condizioni operative (ad esempio, l'uso di un mezzo non registrato), si configura la fattispecie attenuata del comma 4.
Obblighi del conferente e responsabilità dell'impresa di trasporto
Un aspetto importante sottolineato dalla sentenza riguarda gli obblighi del conferente dei rifiuti. La normativa prevede che il soggetto che affida il trasporto debba verificare la targa del veicolo impiegato e assicurarsi che sia presente nell'autorizzazione dell'impresa incaricata. Il mancato rispetto di tale dovere di controllo può determinare responsabilità anche in capo al conferente.
Conclusioni
La sentenza n. 13310/2023 della Cassazione contribuisce a delineare in modo più chiaro il confine tra le diverse fattispecie di reato in materia di trasporto illecito di rifiuti. La corretta qualificazione giuridica della condotta è essenziale per garantire una giusta applicazione delle sanzioni e per fornire agli operatori del settore una guida utile al rispetto della normativa ambientale. Le imprese devono prestare particolare attenzione alla conformità dei veicoli utilizzati e all'obbligo di verifica delle autorizzazioni, per evitare di incorrere in sanzioni penali e amministrative.