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Concetto di popolazione servita. Chiarimenti dell’Albo Gestori Ambientali

LEONARDO DI CUNZOLO • 15 luglio 2024

Circolare n.5 del 2 aprile 2021: Chiarimenti sulla "Popolazione Complessivamente Servita" nella Categoria 1 del Registro Gestori Ambientali

Il 2 aprile 2021, con la Circolare n.5, l'Albo Nazionale Gestori Ambientali ha finalmente chiarito uno dei punti più controversi legati all'applicazione dell'articolo 9, comma 2, del decreto 3 giugno, n.120. Questo chiarimento riguarda il significato di "popolazione complessivamente servita" per le classi di iscrizione della categoria 1, che include le attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani.


Cosa Significa "Popolazione Complessivamente Servita"?

Secondo la nuova interpretazione, per "popolazione complessivamente servita" si intende la popolazione effettivamente servita o che si è chiamati a servire nell'ambito dell'affidamento, sia esso relativo a una frazione, porzione del Comune, o Ambito Territoriale. Questo significa che non si deve considerare l'intera popolazione del territorio di riferimento (Comune o Ambito Territoriale), ma solo quella specifica all'area effettivamente servita.


Risoluzione di Dubbi Pluriennali

La questione della "popolazione complessivamente servita" ha generato per anni incertezze e contenziosi, soprattutto nell'ambito delle gare d'appalto disciplinate dal D.Lgs n.50/2016 (Codice degli Appalti). Queste gare spesso riguardano solo una parte del territorio comunale o dell'ambito territoriale di riferimento.


Dettagli delle Classi di Iscrizione

L'iscrizione nella categoria 1, come specificato nell'articolo 8 del DM n.120/04, autorizza le imprese a svolgere attività di raccolta e trasporto di rifiuti urbani. L'articolo 9 suddivide questa categoria in sei classi basate sulla "popolazione complessivamente servita". Un'impresa iscritta in una determinata classe non può quindi operare oltre il limite di popolazione specificato per quella classe.


Implicazioni per le Gare d'Appalto

Ad esempio, un'impresa iscritta nella classe F (per popolazioni fino a 5.000 abitanti) che già opera in un territorio con 3.000 abitanti, non può partecipare a gare per territori che superano i 2.000 abitanti, onde evitare di oltrepassare il limite della sua classe dimensionale.


Aggregazioni di Imprese

Il problema si complica quando le gare coinvolgono aggregazioni di imprese, come Consorzi o Raggruppamenti Temporanei di Imprese (RTI). In questi casi, il requisito della classe dimensionale deve essere proporzionato alla parte specifica del servizio che ogni impresa è chiamata a svolgere, e non all'intero servizio.


Chiarimento Definitivo

La dottrina era divisa tra chi riteneva che la popolazione dovesse comprendere l'intero territorio del committente e chi, invece, riteneva corretto considerare solo la popolazione effettivamente servita. Tuttavia, la giurisprudenza amministrativa e l'ANAC hanno sempre sostenuto la seconda interpretazione, riconoscendo come legittimo il requisito della classe dimensionale proporzionato al lavoro effettivamente eseguito.


Conclusione

La Circolare n.5 del 2 aprile 2021 conferma l'interpretazione più pratica e concreta, che considera la classe dimensionale della categoria 1 in funzione del servizio effettivamente svolto. Questo permette una più ampia partecipazione degli operatori economici alle gare pubbliche, facilitando una maggiore concorrenza e l'efficienza del settore della raccolta e trasporto di rifiuti urbani.


Per ulteriori dettagli e aggiornamenti, continuate a seguire il nostro blog e rimanete informati su tutte le novità riguardanti la gestione dei rifiuti urbani e le normative correlate.

26 marzo 2025
La gestione dei rifiuti è un processo articolato che coinvolge diversi attori, ognuno con specifiche responsabilità e obblighi normativi. Tra queste figure, l’intermediario senza detenzione svolge un ruolo chiave, fungendo da collegamento tra il produttore dei rifiuti e gli impianti di recupero o smaltimento. Negli ultimi anni, dottrina e giurisprudenza hanno contribuito a chiarire le sue responsabilità, delineando un quadro normativo sempre più preciso. Il ruolo dell'intermediario nella filiera dei rifiuti Secondo la definizione dell’art. 183, comma 1, lett. l) del D.Lgs. 152/2006, l’intermediario è “qualsiasi impresa che dispone il recupero o lo smaltimento per conto di terzi”. Questo significa che l’intermediario non si limita a fornire assistenza o consulenza, ma assume un ruolo attivo e determinante nel ciclo di gestione dei rifiuti. A differenza del consulente, che offre supporto tecnico o legale senza intervenire direttamente nelle operazioni, l’intermediario esercita un potere dispositivo, identificando impianti idonei e soggetti autorizzati al trattamento dei rifiuti. Responsabilità e posizione di garanzia dell'intermediario La giurisprudenza più recente, tra cui la sentenza della Corte di Cassazione n. 30582 del 3 agosto 2022 (Sez. III), ha ribadito che l’intermediario non è un mero passacarte tra produttore e gestore dell’impianto, ma assume una posizione di garanzia e corresponsabilità. In particolare, la sentenza evidenzia come l’intermediario debba vigilare sulla regolarità delle operazioni effettuate dagli altri attori della filiera e verificare il possesso delle necessarie autorizzazioni da parte dei soggetti coinvolti. Questo implica una serie di obblighi specifici: Verifica della documentazione : l’intermediario deve assicurarsi che il produttore abbia correttamente classificato e caratterizzato i rifiuti, attribuendo i codici CER adeguati e segnalando eventuali caratteristiche di pericolo. Controllo delle autorizzazioni : prima di conferire i rifiuti a un impianto di destinazione, l’intermediario deve verificare che quest’ultimo disponga di autorizzazioni valide e compatibili con il tipo di rifiuti da gestire. Tracciabilità e conformità delle operazioni : al termine delle operazioni, l’intermediario deve garantire che la documentazione di tracciabilità sia completa e conforme alle norme vigenti. Corresponsabilità e limiti di responsabilità Un punto centrale del dibattito dottrinale e giurisprudenziale riguarda il grado di responsabilità dell’intermediario rispetto agli altri soggetti della filiera. La sentenza della Cassazione conferma che l’intermediario è corresponsabile delle operazioni di gestione dei rifiuti, ma solo nei limiti del suo potere di controllo e vigilanza. Questo significa che non può essere ritenuto responsabile per illeciti commessi dal produttore o dal gestore dell’impianto, a meno che non abbia omesso di esercitare la dovuta diligenza nei controlli di sua competenza. L’art. 193 del D.Lgs. 152/2006, relativo alla tracciabilità dei rifiuti, stabilisce che ogni operatore è responsabile esclusivamente per le informazioni inserite nel formulario identificativo dei rifiuti (FIR) nella parte di propria competenza. Di conseguenza, l’intermediario non è responsabile per eventuali difformità tra la descrizione dei rifiuti e la loro effettiva natura, a meno che queste non siano rilevabili con l’ordinaria diligenza. Conclusioni L’evoluzione normativa e giurisprudenziale ha chiarito che l’intermediario senza detenzione svolge un ruolo essenziale nel ciclo di gestione dei rifiuti, con una posizione autonoma di garanzia e un onere di vigilanza sulle operazioni effettuate dagli altri attori della filiera. Sebbene non sia direttamente responsabile per eventuali illeciti commessi da produttori o gestori di impianti, l’intermediario è tenuto a dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi di verifica e controllo per evitare di incorrere in responsabilità. Questa interpretazione rafforza il principio di corresponsabilità nella gestione dei rifiuti e impone agli intermediari di operare con la massima diligenza, garantendo trasparenza e legalità lungo tutta la filiera. Per le aziende che operano nel settore, risulta quindi fondamentale adottare procedure rigorose di controllo e documentazione, riducendo al minimo i rischi legali e ambientali legati alla gestione dei rifiuti.
26 marzo 2025
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24680 del giugno 2023, ha confermato un importante principio in materia di gestione dei rifiuti, chiarendo che la distinzione tra rifiuto e sottoprodotto deve basarsi su criteri oggettivi e non sulla volontà soggettiva del detentore. Il caso e la decisione della Suprema Corte La Terza Sezione Penale della Cassazione ha confermato la condanna per gestione illecita di rifiuti ai sensi dell'art. 256, comma 1, del D.lgs. 152/2006, emessa dal Tribunale di Brindisi. Il ricorrente sosteneva che il materiale in questione fosse un sottoprodotto e non un rifiuto, cercando di ottenere l'annullamento della condanna. Tuttavia, la Suprema Corte ha respinto il ricorso, affermando che la qualifica di rifiuto non dipende dalla volontà del detentore, bensì dalle modalità oggettive con cui i materiali sono gestiti. La nozione di rifiuto secondo la normativa La Cassazione ha richiamato l'art. 183 del D.lgs. 152/2006, che definisce rifiuto "qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, abbia deciso di disfarsi o abbia l'obbligo di disfarsi". Si tratta di una definizione funzionale, che non si basa sulle caratteristiche intrinseche del materiale, ma sulla sua effettiva gestione e destinazione. In linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, la Cassazione ha ribadito che il concetto di "disfarsi" deve essere interpretato in senso ampio per garantire un elevato livello di tutela ambientale, come previsto dall'art. 191, paragrafo 3, del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) e dalla Direttiva 2008/98/CE. Sottoprodotto e rifiuto: differenze e implicazioni Per qualificare un materiale come sottoprodotto, devono essere soddisfatti i requisiti dell'art. 184-bis del D.lgs. 152/2006. In particolare, il materiale deve derivare da un processo produttivo, essere destinato a un successivo utilizzo senza necessità di trattamento e soddisfare precisi criteri di qualità e sicurezza. Nel caso specifico, il materiale contestato era stato rinvenuto alla rinfusa su un terreno ed esposto agli agenti atmosferici, elementi che hanno portato la Corte a escludere la sua qualificazione come sottoprodotto e a confermare invece la natura di rifiuto. Precedenti Giurisprudenziali e conseguenze per le imprese La pronuncia si inserisce in un filone consolidato di giurisprudenza. Già nel 2020, con l'ordinanza n. 21289, la Cassazione aveva stabilito che un materiale diventa rifiuto nel momento stesso in cui il detentore si disfa di esso, indipendentemente dal fatto che sia depositato in un'area chiusa o recintata. Questo orientamento ha rilevanti implicazioni per le aziende che operano nel settore ambientale e nella gestione dei materiali di scarto. È fondamentale adottare procedure chiare per distinguere correttamente i rifiuti dai sottoprodotti e garantire una gestione conforme alla normativa, evitando il rischio di sanzioni penali. Conclusioni La sentenza n. 24680/2023 della Corte di Cassazione conferma un principio essenziale del diritto ambientale: la qualifica di rifiuto dipende da dati oggettivi e non dalla volontà del detentore. Questo approccio garantisce una maggiore tutela ambientale e impone alle imprese una gestione responsabile dei materiali di scarto. Per evitare sanzioni, è cruciale conoscere e applicare correttamente la normativa vigente in materia di rifiuti e sottoprodotti.
26 marzo 2025
Il trasporto di rifiuti rappresenta un settore regolamentato con estrema precisione dalla normativa ambientale, con particolare riferimento all'articolo 256 del D.lgs 152/06. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 13310 del 30 marzo 2023) ha chiarito la distinzione tra le fattispecie di reato previste ai commi 1 e 4 dello stesso articolo, offrendo una chiave interpretativa rilevante per gli operatori del settore. Il caso analizzato dalla Cassazione La vicenda giudiziaria trae origine dalla condanna di un imprenditore che, pur essendo titolare di un'azienda regolarmente iscritta all'Albo nazionale gestori ambientali, aveva affidato il trasporto di rifiuti a un'impresa che aveva utilizzato un veicolo non autorizzato. Il giudice di merito aveva ritenuto configurabile il reato di gestione non autorizzata di rifiuti, ai sensi dell'art. 256, comma 1, del D.lgs 152/06. L'imputato, ricorrendo in Cassazione, ha contestato tale qualificazione, sostenendo che la sua condotta dovesse rientrare nel meno grave reato previsto dal comma 4, in quanto l'impresa incaricata era comunque autorizzata al trasporto dei rifiuti, sebbene con un veicolo non registrato. La decisione della Suprema Corte La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, operando un'analisi approfondita della normativa in materia di iscrizione all'Albo gestori ambientali. Ha evidenziato che la normativa vigente (DM 120/2014) stabilisce con chiarezza che le imprese autorizzate al trasporto di rifiuti possono svolgere tale attività solo con i veicoli indicati nell'autorizzazione. Pertanto, l'uso di un mezzo non autorizzato configura una violazione delle condizioni imposte, ma non equivale a un'attività di gestione illecita priva di titolo abilitativo. Per questo motivo, la condotta deve essere sanzionata ai sensi dell'articolo 256, comma 4, del D.lgs 152/06, e non ai sensi del comma 1, riservato alle ipotesi di assenza totale di autorizzazione. Le implicazioni della sentenza Questa pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato (sentenze n. 33420/2021, n. 47836/2019 e n. 13232/2010), secondo cui la distinzione tra il reato di gestione illecita di rifiuti e quello meno grave di violazione delle prescrizioni autorizzative deve basarsi sulla natura della violazione. Se il trasporto viene effettuato in assenza di un'autorizzazione generale, si ricade nel reato di cui al comma 1. Se, invece, l'impresa è autorizzata, ma non rispetta alcune condizioni operative (ad esempio, l'uso di un mezzo non registrato), si configura la fattispecie attenuata del comma 4 . Obblighi del conferente e responsabilità dell'impresa di trasporto Un aspetto importante sottolineato dalla sentenza riguarda gli obblighi del conferente dei rifiuti. La normativa prevede che il soggetto che affida il trasporto debba verificare la targa del veicolo impiegato e assicurarsi che sia presente nell'autorizzazione dell'impresa incaricata. Il mancato rispetto di tale dovere di controllo può determinare responsabilità anche in capo al conferente. Conclusioni La sentenza n. 13310/2023 della Cassazione contribuisce a delineare in modo più chiaro il confine tra le diverse fattispecie di reato in materia di trasporto illecito di rifiuti. La corretta qualificazione giuridica della condotta è essenziale per garantire una giusta applicazione delle sanzioni e per fornire agli operatori del settore una guida utile al rispetto della normativa ambientale. Le imprese devono prestare particolare attenzione alla conformità dei veicoli utilizzati e all'obbligo di verifica delle autorizzazioni, per evitare di incorrere in sanzioni penali e amministrative.
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